giovedì 3 gennaio 2008

Il Premio Urania 2007

Quando si hanno alte aspettative non ci si accontenta di meno che dell’ottimo, poi se si ha solo il buono o il discreto si è portati a considerarlo mediocre o insufficiente. Prima di aver commentato un libro non leggo mai i commenti degli altri lettori ma questa volta ho seguito con attenzione tutte le discussioni nelle quali si è parlato di questo romanzo e sono rimasta sorpresa dalla diversità delle opinioni espresse dagli utenti dei due forum che frequento. Uraniamania è un sito di collezionisti è vero ma ciò non toglie che i suoi iscritti siano attenti lettori, e per la gran parte lettori assidui di Urania. Il giudizio espresso da loro si può definire meno che tiepido, in una media aritmetica non raggiunge la sufficienza e il maggior difetto che rilevano è lo stile troppo ‘barocco’ e le citazioni troppo insistite. Il Tenforward è un forum di lettori ad ampio raggio e scelte mirate, qui non si comprano ‘collane’ ma si scelgono autori e titoli selezionando secondo i propri gusti quindi chi ha comprato il libro l’ha fatto consapevole di leggere un romanzo connettivista, noir post-cyberpunk e nei giudizi è stato più che generoso. Il fatto che l’autore sia ben conosciuto in uno dei siti e poco presente nell’altro forse mette in moto un fattore ‘amicizia’ del quale in ogni caso si deve tener conto. Anche io ho aspettato e aspettato prima di scrivere qualcosa sul romanzo; in effetti non avevo proprio intenzione di scrivere alcunché, ma sono stata sollecitata da più parti ad esprimermi. Il genere non mi piace, non ho mai digerito Gibson e compagnia, tranne poche eccezioni, un paio credo, mi sono sempre annoiata a morte col cyberpunk che mi fa l’effetto di un sonnifero dimenticando in fretta quello che leggevo anche dopo poche ore. Veniamo al romanzo. Buona ed intrigante l’idea di base la trama resta ingarbugliata, almeno un personaggio chiave è presentato alla fine e non abbastanza delineato da essere rappresentativo. Il ritmo è lento e soporifero c’è poca azione e molte chiacchiere le citazioni tante e per chi non è un appassionato anche incomprensibili, chi dei lettori avrà compreso ‘sviccata’ per esempio? Insomma una sorta di ‘lessico familiare’ degli addetti, ma ricordiamoci che non tutti hanno letto Dick o sono stati alle Convention di fantascienza. Lo stile stesso del romanzo definito da alcuni ‘barocco’ sarebbe ottimo se solo evitasse alcune enfatizzationi e termini assolutamente desueti, la ricchezza della lingua non è una pecca ma un valore aggiunto se non eccede. Degli ‘interludi’ ho letto con interesse soltanto quello che parlava della Cabala, le spiegazioni tecniche, troppo tecniche, le ho spiluccate annoiata, ma questa è una mia limitazione di certo un lettore colto le avrà gradite. Per finire devo confessare che arrivata ad una decina di pagine dalla fine del romanzo mi sono addormentata e in seguito non avendo nessuna curiosità di sapere come andava a finire ho letto gli ultimi brani dopo un paio di giorni. Non ho consigli per l’autore, non mi reputo tanto competente da emettere giudizi e dare indicazioni, ho soltanto raccontato le mie sensazioni, le mie opinioni sul suo lavoro che di certo non ha bisogno di un mio parere favorevole per volare alto. Un’ultima parola sulla scelta della giuria che ha attribuito a quest’opera il Premio Urania 2007: a mio parere negli ultimi due anni i giurati hanno scelto romanzi che non hanno suscitato un consenso unanime tra i lettori; certo è difficile scegliere e indovinare gli umori di chi poi comprerà e leggerà e naturalmente ogni selezionatore e ogni giurato sceglie in base ai propri gusti ma forse un ampliamento o rinnovamento sarebbe opportuno.

Sezione Pi Quadro di Giovanni De Matteo, Urania 1528

martedì 1 gennaio 2008

Gli uomini di Simmons

Ancora un avanzo del 2007...

Altro autore che non mi piace eccessivamente. Ho letto Hyperion e mi ha lasciato un vago senso di noia, la caduta ed Endymion invece me li sono proprio dimenticati segno che non mi hanno dato nulla ma potrebbe dipendere dall’età e dalla memoria colabrodo. Bene, dicevo che non amo Simmons e quindi son partita guardinga e sospettosa ma alla fine del romanzo non posso che dar un giudizio positivo, non eccelso ma un discreto ci sta. La pecca più grossa è alla fine: una pagina inutile, superflua, che non lega col resto, meno male che è soltanto l’ultima pagina. Il romanzo prende il titolo dalla omonima poesia di Eliot e tra le altre una citazione molto carina è quella alla fine romanzo dove viene addirittura raccontato un pezzo di La tigre della notte di Bester, per spiegare la teoria sulla quale si basa la storia di Gail e Jeremy! Storia di amore, di telepatia, di perdita e ritrovamento con una parte assolutamente incomprensible per me con equazioni e amenità del genere che ho saltato senza sentirmi in colpa. Per la verità Simmons, vecchio volpone fa discutere le teorie da Jeremy e da Jacob presente Gail che non capiva un piffero esattamente come me e alla quale veniva spiegato in parole comprensibili il succo della faccenda. Parole comprensibili? Beh non ci ho nemmeno provato a comprendere… A tratti il ritmo è veloce a tratti annoia con spiegazioni e teorie, una parte della storia, il periodo passato alla fattoria di Miz Morgan, sembra essere un di più non necessario e messo lì per allungare il brodo ma come racconto noir o horror sarebbe perfetto. Insomma tuto il libro pencola tra l’appassionante e il noioso riuscendo però a farsi leggere senza eccessiva fatica

Gli uomini vuoti
(The Hollow Men, 1992) di Dan Simmons – Urania 1529

Diluvio di fuoco

Anche questo è stato letto nel 2007, il 29 dicembre per la precisione
Il prossimo Urania Collezione sarà Diluvio di fuoco di René Barjavel, romanzo già pubblicato in Urania, Classicidi di Urania e Libra, e per documentarmi un po’ ho tirato fuori dallo scatolone dei CUR l’edizione 1998. Avevo intenzione di leggiucchiare qua e là, tanto per farmi un’idea della trama e poterne parlare nella scheda per il Corriere della Fantascienza ma già alle prime pagine mi ritrovo treni ad altissima velocità, vaporizzatori molecolari nei luoghi pubblici e nelle strade che spandevano ossigeno e profumi, sipari d’onde filtranti per ombreggiare, autobar automobili a sospensione aerea… a questo punto vado a guardare la data della prima edizione e resto basita: 1943! E Barjavel non si limita a questo, è un fuoco d’artificio continuo di idee, di nuove invenzioni, dalla tv olografica all’aereo di famiglia, dai cibi sintetizzati al ‘plastic’ materiale industruttibile e multiuso per finire con la cosa più strana che abbia mai letto i ‘conservatori’ dove i corpi dei morti ridotti in dimensioni, refrigerati e chiusi in stanze dalle pareti di vetro condividevano le case dei vivi. Certo nel ’43 c’erano le premesse per immaginare gran parte delle cose che Barjavel ha poi descritto ma dopotutto non era uno scienziato ma un giornalista. Diluvio di fuoco è un catastrofico doc, nella trama ricorda Morte dell’erba (1967) di John Christopher: la rottura della “normalità” a causa di una catastrofe planetaria la presa di coscienza del protagonista che diventa leader di un gruppo e che attraverso mille difficoltà riesce a portarlo in salvo ed a ricostruire una sorta di civiltà. Il romanzo, mai dimenticare che è stato scritto in Francia nel 1943, è venato tutto di un maschilismo mai troppo sbandierato ma evidente, e da una violenza estrema che anche questa passa quasi inosservata nella frenesia degli avvenimenti. Alla fine poi, nelle pagine dell’epilogo si manifesta il luddismo di Barjavel in tutta la sua interezza, per l’autore il progresso, la tecnica, tutte le meravigliose invenzioni che ha immaginato realizzate nel 2050, anno inel quale si svolge la storia, saranno la causa della rovina dell’uomo. Il romanzo chiude con un primo minuscolo atto di speranza.

Diluvio di fuoco (Ravage, 1943) Classici Urania 254

Una rosa molto fantascientifica

Ho chiuso l'anno ieri notte con le ultime pagine della Rosa quantica della Asaro. Il romanzo ha un buon ritmo nella parte ambientata su Argali, tanto che mi ha tenuta sveglia fino a notte per le prime 300 pagine (ho iniziato il 28 ma nel frattempo ho letto anche Diluvio di fuoco di cui parlerò in seguito) e diventa più lento, a tratti noiosetto nella parte finale quando la storia si ingarbuglia con la presentazione di diversi nuovi personaggi e dinamiche un filo complicate. La storia sembra essere una bella storia d'amore contrastato naturalmente in una solida cornice fantascientifica con uno spruzzo di space opera, venata di Ghandismo, insomma una lettura piacevole nel complesso, sufficientemente rapida e appagante. Poi c'è, in appendice, un saggio dell'autrice, non trovo altra parola per definirlo, che spiega come La rosa quantica sia tutta una metafora, la trama è rigida, fissa, non si parla di Vyrl e Kamoj e Jax ma di particelle quantiche, delle loro interazioni, tant'è che ogni capitolo ha un titolo che per me, ignorante di fisica restava strano ed enigmatico: capitolo I, Primo canale di diffusione; capitolo II, Onda in arrivo ecc ecc... Insomma una lezione sulla teoria dei quanti travestita da romanzo! Confesso che non sono riuscita a leggere tutto il saggio, ho spigolato qua e là ma credo che farà la gioia di un lettore informato e curioso. A me il piacere di una storia ben scritta e piacevole ad altri quello di scoprire cosa c'è sotto la metafora. Due parole ancora per le ambientazioni; mentre il pianeta Argali risulta 'normale' e le sue peculiarità - il giorno di sessanta ore, le squame che ricoprono piante e animali - non destano sorpresa; Lyshiriol, il mondo di Vryl, con i suoi due soli, le sue due lune, le nevi color lavanda e le foreste di bolle di vetro colorato è un posto di sogno alieno e allo stesso tempo familiare. Sfaccettati i tre protagonisti e ben delineati anche i comprimari, nessun cattivo è assolutamente cattivo e nessun eroe è assolutamente eroe.

La Rosa quantica (The Quantum Rose, 2000) di Catherine Asaro - Nuova Galassia n. 2 Armenia